Storie di ricerca

Essere giovani con un tumore al seno. Corsi di vita tra malattia, lavoro e famiglia

Incontrare una malattia come il tumore al seno può avere un impatto devastante, che costringe a ridisegnare, totalmente o in parte, il percorso di vita. Convinte che la guarigione, oltre che dalle terapie, dipende anche dall’avere una rete e un sostegno che permetta alle donne di “fermarsi un attimo” per prendersi cura di se stesse, il nostro progetto esplora la vita di alcune di loro tra i percorsi di cura, la famiglia e le traiettorie professionali

Dipartimento / Struttura
Culture, Politica e Società
Dipartimento / Struttura
Culture, Politica e Società

Il tumore al seno può comportare un senso di incertezza del proprio percorso biografico tra lavoro e famiglia (MacKenzie, 2014), sconvolgendo la vita quotidiana e il senso di sé nel mondo (Corbin e Strauss, 1985). 

Ad esempio, può accadere che dal momento della diagnosi in poi inizia una serie di appuntamenti, visite, esami, e controlli che scandiscono il tempo biografico in secondi, minuti, ore, giorni. Quanto tempo si dovrà aspettare per ricevere il risultato della biopsia? Cosa fare in quel tempo “sospeso” in cui si aspetta il giorno dell’operazione? Cosa succederà dopo? Quale altro percorso si dovrà affrontare (chemioterapia, radioterapia, ecc.) affinché il corpo possa “ritornare” a stare bene? 

Si tratta soltanto di alcuni degli aspetti che stanno emergendo da un progetto di ricerca sociologico dal titolo Corsi di vita di giovani donne ed episodi oncologici. Quale intreccio tra malattia, professione e famiglia? che ha coinvolto, a oggi, 28 donne che hanno ricevuto la loro prima diagnosi tra 30 i 45 anni, nel pieno dell’età e della produttività lavorativa, in Piemonte.

La ricerca, innovativa per l’approccio teorico e per i contenuti, non si propone semplicemente di comprendere l’esperienza della malattia, ma di spostare lo sguardo sulle ricadute e i costi sociali del percorso di cura. Gli studi italiani esistenti si concentrano infatti soprattutto sugli impatti della malattia in sé, senza tenere in considerazione per esempio l'impatto del percorso di cura sulla famiglia o sulla carriera futura. Altra caratteristica del nostro approccio è lavorare in stretta collaborazione con associazioni del territorio e Breast Unit, cioè quei centri ambulatoriali che prendono in carico la donna accompagnandola nei vari aspetti del suo percorso di terapia.

A causa dei trattamenti spesso severi, il tumore al seno può comportare diversi effetti collaterali potenzialmente importanti che possono rendere le donne, già penalizzate nel mercato del lavoro, non più idonee a svolgere determinati tipi di lavori oppure può avere effetti stigmatizzanti in termini sia di avanzamento di carriera e/o sia verso il raggiungimento di una maggiore stabilità lavorativa (per esempio forme contrattuali più stabili) (Duguet e Clainche, 2016). Per queste ragioni, il progetto ha l’obiettivo di indagare i molteplici intrecci e traiettorie tra il percorso di cura (come per esempio gli orari delle visite), la vita familiare (figli, genitori, tempo libero) e i percorsi professionali, e di comprendere gli esiti e gli effetti della malattia in termini di formazione della famiglia, e di desiderio e realizzazione di maternità.

Tra le varie esperienze che stiamo raccogliendo (al momento abbiamo svolto una ventina di interviste) ne citiamo due in particolare: quella di Luna (nome di fantasia), sposata che ha avuto il primo episodio oncologico a 44 anni, quando le figlie avevano 6 anni e 12 anni e il secondo episodio appena due anni dopo, e quella di Sole (nome di fantasia), che convive con il suo compagno e ha scoperto la diagnosi nel 2021 all’età di 34 anni, in concomitanza con la scoperta di una prima gravidanza che ha poi deciso di non portare a termine.

Dalle loro narrazioni emerge bene l’intreccio tra l’esperienza individuale della malattia con questioni molto più ampie e collettive, in cui si situano precarietà lavorativa, cambiamenti della coppia e della famiglia e percorso di cura:

"C’è una massa sospetta, bisogna fare un’agobiopsia", mi disse il medico […] Da lì è iniziato tutto un turbinio di visite e corse con la paura che fosse qualcosa con un’evoluzione rapidissima perché tutti mi dicevano “Corri di là… corri di qua”… e quindi sono stati giorni molto concitati e paurosi […]. Nel senso che io ho continuato a lavorare un po’ perché ero incredula e un po’ perché avevo paura addirittura della parola [“tumore”, NdR]… è stata la paura che ha guidato tutto il percorso e… avevo paura della paura degli altri. Cioè avevo già paura io, ma avevo paura di quello che gli altri avrebbero potuto dire alle mie figlie che erano piccole […] E quindi mi sono comprata la parrucca e ho continuato a lavorare. Il lavoro è stato di aiuto… come d’altronde la famiglia lo è stata, nel senso che lavorare mi ha aiutata a non concentrare i pensieri su quello che accadeva. (Luna)

Mi sono licenziata a maggio da un lavoro full time che mi stava consumando le energie [...] e avevo iniziato a lavorare come freelance, quando un giorno, lavorando al computer, mi sono accorta che mi prudeva un po’ l’ascella e sento qualcosa di grosso a livello del seno.[...] L’ho vissuto in modo abbastanza surreale, nel senso che ho 34 anni ed era di una dimensione enorme, si parlava di 8 cm e quindi praticamente tutto il seno [...] ho deciso di non dirlo ai miei fino a quando non avrei ricevuto i risultati della biopsia per evitare di allarmarli inutilmente. E quindi è stato difficile gestire questa roba qua, il non detto […], poi sono entrata un po’ in modalità stand-by per quello che riguarda il lavoro [...] ho avuto anche la fortuna di poterlo fare, perché ho un compagno che ha la sua azienda, ho dei risparmi da parte e quindi mi sono permessa di slittare un po’ anche se ho lì questa spada di damocle [...] perché una come me ha un po’ l’ansia di dire “mi sto perdendo il momento?”[...] perché io sono una di quelle che finché non è esausta [...] allora va bene. (Sole)

Nelle parole delle donne che stiamo intervistando si situano angosce, paure, incertezze e desideri. Non ci sono soltanto le conseguenze fisiche invalidanti delle terapie, ma c'è anche la quotidianità che segna ed è segnata dal percorso di cura. Trovare le informazioni (relative per esempio a supporti e opzioni fornite dall’INPS, agevolazioni sui farmaci o sull’uso di parrucche) nel garbuglio delle pratiche amministrative-burocratiche, affrontare la precarietà e l’incertezza lavorativa, dimostrarsi “forti” per non far pesare agli altri “la malattia”, condividere con il proprio compagno i cambiamenti dell’intimità e del corpo, un corpo percepito come vulnerabile ed estraneo allo stesso tempo.

Occorre allora ricordare che tutti questi aspetti non sono da contorno all’esperienza oncologica, ma sono delle risorse importanti per il benessere e la qualità di vita di chi le vive. La guarigione dipende dalle cure e dalle terapie, ma anche dall’importanza di avere una rete e un sostegno che permetta alle donne di “fermarsi un attimo” per prendersi cura di sé stesse. Per questo motivo la malattia è un’esperienza collettiva e non soltanto “privata”, che chiama in causa le politiche sanitarie, la privatizzazione dei servizi socio-sanitari, le politica di conciliazione tra famiglia e il mercato del lavoro.

Per tutti questi motivi ci aspettiamo che i risultati di questa ricerca avranno ricadute nella formulazione di politiche a livello locale per ottenere risposte adeguate ai bisogni sociali delle pazienti sul territorio. Lavorando in stretto contatto con queste realtà del territorio, vogliamo infine contribuire al miglioramento della conoscenza dei maggiori programmi di prevenzione alla malattia oncologica e alla corretta promozione di stili di vita sani.


Il progetto di ricerca “Corsi di vita di giovani donne ed episodi oncologici. Quale intreccio tra malattia, professione e famiglia?” è stato promosso dal Dipartimento di Culture, Politica e Società (UNITO), grazie a un finanziamento del CUS (Centro Universitario Sportivo) di Torino, a partire da una raccolta fondi dell’evento Just The Woman I Am (anno 2022).

Gruppo di lavoro: Sonia Bertolini e Manuela Naldini (coordinatrici e responsabili), Ester Micalizzi.